L' emergenza "fame nel mondo" è riapparsa da alcune settimane a grandi titoli sul palcoscenico mediatico occidentale. Le maggiori istituzioni internazionali – Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Fao, eccetera – hanno dato l'allarme e in diversi modi ricordato ai responsabili politici ed economici delle nazioni che i paradossali livelli di povertà che ancora affliggono tante popolazioni in ogni angolo della Terra sono ben lungi dall'essere dimezzati per l'anno 2015, come la benaugurante campagna degli Obiettivi di Sviluppo per il Millennio ci aveva inizialmente fatto sperare. Dall'Egitto alle Filippine, in Camerun e in Madagascar, nella città di Port-au-Prince (Haiti) e nelle periferie di Nuova Delhi (India)… si sono moltiplicate le manifestazioni popolari, da alcuni definite come vere "rivolte del pane", a causa del continuo aumento del costo della vita e in particolare del prezzo dei prodotti alimentari (riso, mais, latte, grano, soia…) che per milioni di persone sono alimenti base e che assorbono circa i tre quarti del loro già precario reddito. A questi "lontani" si aggiungono le migliaia di persone che anche in Italia si ritrovano a fare i conti con un disagio economico sempre più preoccupante. Chi non si intristisce nel sentire che anziani pensionati, lavoratori per una vita, si ritrovano ad inventarsi ladruncoli di supermercato per sbarcare la giornata? Le cause di questa tragedia annunciata sono molteplici. Si tratta soprattutto del rincaro del gasolio – molto usato in agricoltura – e dei fertilizzanti, delle sementi, dei pesticidi; una imputata speciale è la produzione di agrocarburanti, realizzata grazie a cereali, canna da zucchero e piante oleaginose come alternativa all'oro nero; il riscaldamento climatico, l'eccessivo utilizzo delle risorse idriche a scopo industriale, l'aumentato tenore di vita, la crescita demografica e le problematiche relative alla vita urbana…Ciascuna di queste cause ha le sue specifiche, inevitabili conseguenze. La più grave di tutte è determinata dalla diminuzione delle terre destinate all'agricoltura di sostentamento, dalla diminuzione della massa di persone che potevano contare sull'agricoltura di sussistenza (orti famigliari o piccoli progetti estranei ai circuiti mercantili) e dall'aumento delle percentuali di popolazioni inurbate, che possono procurarsi cibo solo in cambio di denaro. Tra le cause più nascoste, ma di non minore impatto, vi sono il libero mercato sostenuto dai paesi più industrializzati, la politica agricola (europea e americana) con i suoi eccessivi sussidi ai propri agricoltori, la «stantia routine degli aiuti allo sviluppo», la «finanziarizzazione» dei prodotti alimentari; l'inflazione galoppante e il debito estero che stringono come in una morsa i paesi impoveriti dal modello di sviluppo imposto, lo «scandalo dell'egoismo dei ricchi» e, non meno grave, il «marasma etico» riscontrabile un po' ovunque. Quali le proposte avanzate dagli esperti per uscire da un tale labirinto? Indire una moratoria di 5 anni sulla produzione di biocarburanti; erogare subito 500 milioni di dollari a favore dei paesi più colpiti dalla carestia; investire meglio sulle capacità di processare e conservare il cibo nei posti dove le infrastrutture sociali sono più deboli; bloccare temporaneamente l'esportazione dei cereali dai paesi produttori del Sud del mondo a quelli consumatori, incentivare la rinascita delle coltivazioni locali, cambiare politica perché «i rimedi adottati sono stati peggiori del male»… Non ho sufficiente competenza per suggerire indicazioni particolari al riguardo, ma ho visto alcune persone morirmi di fame e di stenti tra le braccia, e, a distanza di anni, il solo ricordo mi angustia. Un'emozione, certamente, non cambia le cose in meglio per nessuno. Le masse che continueranno a manifestare sulle piazze di molti paesi ci devono scuotere dal torpore che da troppo tempo si è impadronito di noi, e che è dettato da quel senso di irresponsabilità inconscia che ci fa sentire al sicuro perché "tanto non tocca a me" – la recente campagna elettorale è stata maestra al riguardo. Nell'enciclica Populorum progressio del 1967 Paolo VI scrisse che «la collera dei poveri» potrebbe avere «conseguenze imprevedibili». Sono passati 40 anni di "deserto", da allora, per gli impoveriti del mondo. Quanto tempo saranno ancora disposti ad aspettare? (Suor Maria Teresa Ratti, direttrice di 'Combonifem magazine') |
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