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venerdì 6 dicembre 2013

Eritrea: l'inferno dei migranti torturati e rapiti dall'esercito

Sono circa 30.000 gli eritrei sequestrati in Sinai tra il 2007 e il 2012: a denunciarlo è un’inchiesta che è stata presentata al parlamento europeo questo giovedì, dal titolo “The Human Trafficking Cycle: Sinai and Beyond”, basata sulla testimonianza diretta di 230 eritrei. L’inchiesta, la prima così esaustiva su un fenomeno spesso ignorato dai media, è stata realizzata da tre studiosi – due olandesi e un eritreo residente in Svezia – secondo cui migliaia di giovani eritrei vengono rapiti dagli stessi generali dell’esercito eritreo e deportati in Sudan. Qui, dopo essere stati torturati, i sequestrati devono raccogliere dai familiari il riscatto richiesto dai rapitori per essere liberati con la minaccia di essere venduti ai trafficanti di uomini del Sinai. A volte - riferisce l'agenzia Misna - anche dopo aver pagato il riscatto, l’esercito eritreo li consegna comunque ai trafficanti, che li torturano e chiedono un nuovo riscatto. Si stima che negli ultimi sette anni ai familiari di queste persone siano stati estorti circa 600 milioni di dollari per il pagamento di riscatti. Un ruolo chiave nei rapimenti, secondo quanto rivelano le anticipazioni del rapporto, lo svolge l’Unità eritrea di controllo dei confini, guidata dal generale Teklai Kifle: questi spesso rapiscono i giovani di 16 e 17 anni, costretti dal regime a completare il ciclo di studi prestando servizio militare per un anno nel campo militare di Sawa. Una volta sequestrati - secondo le testimonianze denunciate dal sacerdote eritreo don Zarai, fondatore dell'Associazione Habeshia - gli eritrei vengono torturati e rinchiusi in prigioni sotterranee. Le donne vengono stuprate a ripetizione, spesso anche in pubblico, e ai genitori vengono fatte ascoltare le urla dei figli attraverso telefonate durante le sevizie. Per i giovani eritrei viene di solito chiesto un riscatto di 10.000 dollari. Secondo i tre ricercatori molti eritrei non sopravvivono ai trafficanti e alle torture. “Tra le 5000 e le 10.000 persone muoiono per mano dei trafficanti mentre sono in cattività”, dichiarano i ricercatori al quotidiano britannico The Guardian, secondo cui in molti gruppi almeno la metà perde la vita e spesso tra le vittime ci sono anche bambini di appena due o tre anni. Da anni le associazioni per i diritti umani denunciano le condizioni di vita della popolazione, circa 6 milioni di persone, nell’Eritrea di Isaias Afewerky definendola una “prigione a cielo aperto” e una sorta di “Corea del Nord dell’Africa”. I giovani eritrei, uomini e donne, sono costretti ad un servizio di leva che può durare fino a 40 anni. Il governo di Asmara, tuttavia, permette ai suoi abitanti di scappare, con il rischio di essere catturati dai trafficanti, ma una volta arrivati in un nuovo paese lo Stato pretende da loro una tassa del 2% su tutte le loro rimesse dall’estero. Il tutto, con la distratta complicità dei Paesi in cui molti hanno ottenuto lo status di rifugiati politici. Secondo stime delle Nazioni Unite, sono circa 3000 al mese gli eritrei che lasciano la madre patria. (R.P.)


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/12/05/eritrea:_linferno_dei_migranti_torturati_e_rapiti_dallesercito/it1-752964
del sito Radio Vaticana 

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