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lunedì 16 novembre 2020

Etiopia. La guerra del Tigrai arriva in Eritrea. «Tre razzi si abbattono sull’Asmara»

 Lo spettro della pulizia etnica si affaccia nel Tigrai mentre la guerra ora colpisce Asmara, la capitale eritrea. Tre missili si sono abbattuti sulla “piccola Roma”, come confermato dalla tv sudanese. La guerra oscurata, nascosta, diventa sempre più violenta coinvolgendo i civili con massacri di centinaia di persone a colpi di machete e causando la fuga di migliaia di profughi in Sudan. E si è estesa all’Eritrea, facendo seguito alle minacce in diretta tv del ministro della Difesa tigrino. Quella che il premier Abiy Ahmed, Nobel per la pace 2019, ha presentato come una operazione di polizia contro una banda di terroristi, il Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf), il partito che domina la regione settentrionale etiope, ha colpito i civili ed è deflagrata. Rischiando ora di “balcanizzare” tutto il Corno d’Africa.

Si tratta di una guerra anzitutto di propaganda, iniziata in parallelo con gli scontri il 4 novembre con l’oscuramento del Web e il taglio delle linee telefoniche nello Stato federato. Un blackout che rende molto difficile verificare le notizie. E la forza mediatica etiope, come quella militare, è schiacciante. Egitto e Sudan, che hanno un lungo contenzioso con Addis Abeba per la Grande diga del rinascimento sul Nilo, stanno a guardare.


Razzi sugli aeroporti
Ieri sera tre missili a lunga gittata lanciati dal Tplf hanno colpito l’aeroporto di Asmara vicino all’aeroporto, Forto Baldissera, sede del ministero della Informazione e nella zona chiamata Villaggio. Il presidente Isaias Afewerki si troverebbe a Barentu. Il Tplf ha dato seguito immediato alle minacce. Sul fronte occidentale venerdì ha risposto alle aggressioni della milizia regionale Amhara, alleata con Abiy, con razzi che hanno danneggiato gli aeroporti di Gondar e Bahir. Il presidente del Tigrai, Debretsion Gebremichael, ha dichiarato in più occasioni di considerare gli scali «bersagli legittimi».


Strage di civili?
Una strage che richiama i massacri etnici ruandesi o quelli balcanici degli anni 90 con gli stessi obiettivi, sterminare l’etnia nemica. La notizia del massacro di 500 lavoratori (cifra fornita dall’agenzia di stampa regionale Amma) a colpi di machete buca il velo che avvolge la guerra oscurata, ma la propaganda impedisce di verificare cosa sia successo veramente tre giorni fa a Mai Kadra, sul confine sudanese. Un video diffuso sui social e la cui attendibilità è stata verificata da Amnesty International mostra decine di cadaveri di civili trasportati a spalla. Chi ha compiuto il massacro? Amnesty, pur premettendo l’impossibilità di compiere verifiche sul campo, cita testimonianze di cittadini che incolpano le milizie del Tplf giunte in città in fuga dopo aver combattuto contro l’esercito federale e gli Amhara e che avrebbero compiuto un pogrom contro «tutti i civili non tigrini». L’organizzazione per i diritti umani chiede una indagine immediata e le fa eco l’Onu. Ma secondo l’agenzia Reuters, che ha raccolto le testimonianze di civili fuggiti in Sudan, ad al-Fashqa, la caccia all’uomo sarebbe stata scatenata invece dalle milizie Amhara, entrata nella città il 10 novembre dopo i tigrini. Le squadracce, oltre a uccidere i tigrini, avrebbero derubato le persone facendo razzia di bestiame. Vere e proprie scene da pulizia etnica.



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