fonte : Avvenire.it
Nonostante la caduta di Macallè si combatte su almeno 3 altri fronti. Crescono le prove della presenza di truppe eritree a fianco degli etiopi
Proseguono i combattimenti nel Tigrai sette giorni dopo la presa del capoluogo Macallè e l’annuncio del premier etiope Abiy Ahmed della cessazione delle operazioni militari iniziate il 4 novembre. Ma secondo le Nazioni Unite, che hanno appena concluso un accordo con il governo di Addis Abeba per aprire da mercoledì corridoi umanitari per raggiungere sfollati e profughi nella martoriata regione a nord del Paese, si continua a combattere in molte aree, incluse quelle con i campi profughi dell’Onu.
Secondo la tv regionale controllata dal Tplf – il Fronte popolare di liberazione del Tigrai – si combatte su almeno tre fronti a ovest e a sud di Macallè. Questo complica gli sforzi per offrire assistenza umanitaria perché l’accordo riguarda solo le aree sotto il controllo federale. Dai campi profughi in Sudan che hanno accolto 45mila etiopi arriva soltanto l’allarme per l’arrivo in massa di minori non accompagnati tigrini potenziali prede dei trafficanti. Nonostante gli appelli della comunità internazionale, delle organizzazioni umanitarie e di tanti cittadini, permane il blackout comunicativo. Benché il premier etiope abbia dichiarato che i civili non sono stati feriti durante l’attacco a Macallè, il New York Times conferma che l’offensiva avrebbe provocato almeno 27 vittime e più di 100 feriti tra i civili.
La situazione in città resta difficile. Le vie di accesso secondo la Bbc sono bloccate e mancano acqua ed elettricità. Sempre più insistenti le voci sulla presenza dell’esercito eritreo in Tigrai accanto alle forze federali etiopi. Un articolo dell’ex ministro della Difesa eritreo, oggi rifugiato in Germania, Mesfin Hagos rivela che il supporto di Asmara alle truppe etiopi non è stato solo logistico.
In Tigrai il dittatore Isaias Afewerki avrebbe inviato divisioni di fanteria e brigate meccanizzate a combattere e che, secondo Hagos, avrebbero preso il controllo del campo di Shimelba, dove starebbe preparando la deportazione in Eritrea di centinaia di profughi. A Mai Aini, altro campo di rifugiati eritrei, fonti locali segnalano colonne di profughi in fuga per la mancanza di cibo e acqua. Mentre proseguono le manifestazioni per fermare la guerra (oggi alle 14 se ne terrà una in piazza Castello a Milano promossa dalla comunità tigrina) la chiesa cattolica etiope chiede di pregare per la pace. «Auspichiamo – spiega padre Teshome Fikre, segretario della Conferenza episcopale – che venga ascoltato l’appello per una pace duratura lanciato da Francesco. Inoltre siamo impegnati a portare aiuti umanitari a decine di migliaia di persone con tutte le organizzazioni caritative cattoliche».
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