Un dramma a pochi chilometri dalle spiagge del Mar Rosso, frequentate ogni anno da milioni di occidentali. E’ quello di migliaia di profughi in fuga sopratutto dall’Eritrea, che si affidano a trafficanti senza scrupoli per raggiungere Israele, attraversando il Sinai. Una terra di passaggio, che diventa la loro tragica prigione: in centinaia vengono sequestrati e torturati, nell’indifferenza pressoché totale. Ad aiutarli a fuggire c'è anche una donna: la dottoressa Alganesh Fessaha dell'Ong Ghandi, che insieme al giovane sceicco egiziano Mohammed Ali Hassan Awwad, ha salvato centinaia di persone. Salvatore Sabatino l’ha intervistata:
R. - Da sei anni sono nel Sinai e aiuto i profughi a fuggire. L’altra settimana ho ricevuto una richiesta di aiuto da sei persone. Mi sono messa d’accordo con lo sceicco egiziano Mohammed Ali Hassan Awwad su come liberarli. Solo alle sei della mattina successiva siamo riusciti a liberarli. E' entrato sparando insieme a 15 persone, ha fermato i guardiani e i torturatori; è entrato nelle stanze ed ha liberato le sei persone che erano incatenate. Mi ha chiamato e le abbiamo portate in un posto segreto.
D. - Noi abbiamo visto delle immagini terribili di come queste persone sono trattate, delle torture che devono subire quotidianamente. Rispetto alla mobilitazione della Comunità internazionale, le cose stanno migliorando o no?
R. - Fino ad adesso non stanno migliorando. Ora se ne parla di più a livello informativo tramite giornali, televisioni … però lì non ho visto nessun tipo di intervento.
D. - Questa situazione di stallo è lo specchio di quello che sta vivendo un po’ tutto l’Egitto in questo momento. Quanto la situazione politica del Paese influisce negativamente su quello che sta accadendo in Sinai?
R. - Parecchio, soprattutto adesso. Io sono arrivata prima che iniziasse l’occupazione di domenica scorsa a Piazza Tahrir. Però, già dal 25 giugno qualcosa si stava muovendo; la polizia che era sul ponte di Salam Bridge si era spostata verso Il Cairo. Adesso il Sinai è il territorio dei beduini, tanto è vero che mi chiamano dal Sinai e mi dicono che lì la situazione è tranquilla; ogni clan è armatissimo fino ai denti con armi di ultimissima generazione.
D. - È bene sottolineare che tutto questo avviene a davvero pochi chilometri da quelli che sono i luoghi turistici che frequentano tutti gli occidentali …
R. - Fa male, perché non è lontano da Sharm el Sheik o altre zone turistiche, come Taba … E non è lontano neanche dalla frontiera con Israele. Ad esempio, le persone che ho liberato sono a un chilometro e mezzo dalla frontiera con Israele.
D. - Vuole lanciare un appello attraverso i microfoni della Radio Vaticana?
R. - Sì. Faccio appello a tutte le nazioni, soprattutto a quelle africane affinché prendano coscienza di questa realtà per fermare questo stillicidio. Poi faccio appello a tutti i governi europei perché si impegnino su questa realtà, perché è una realtà drammatica, disumana. Tutti quanti potrebbero fare leva - soprattutto l’America, che ha una grande influenza sull’Egitto - ma fino ad ora non l’hanno fatto. Personalmente, con la mia ong mi sono rivolta alla Comunità europea, ai Paesi africani, all’Unione Africana, al governo italiano, ai governi della Libia e del Sudan … Fino ad ora la risposta è stata oscura.
fonte: http://it.radiovaticana.va/news/2013/07/03/senza_fine_il_dramma_dei_profughi_del_sinai:_la_testimonianza_di/it1-707127