Disperazione, rabbia, impotenza.
I sentimenti che ci assalgono davanti alla ennesima immane
tragedia di Lampedusa.
Ma quanti morti ancora serviranno per farci aprire gli
occhi?
Quanti disperati dovranno ancora bussare alla nostre porte
per svegliarci dal torpore in cui viviamo tutti i giorni pur essendo convinti
di essere svegli e protagonisti del nostro essere?
Disperazione.
Non ci rendiamo conto di quanto siamo stati fortunati a
nascere qui. Si proprio fortunati.
Ancora morti eritrei, ancora morti ….. Chi pagherà per
questo sangue?
Si scappa dall’Eritrea, qualcuno fra i “giornalai” che affollano le tv per commentare il fatto che da
quel paese si scappi, diceva che in Eritrea c’è la guerra. Ignoranti!!! La
guerra è ormai finita nel 2000, sono altri i motivi che portano a scappare
tanti giovani da quel paese, dove la popolazione non arriva a quattro milioni e
mezzo, ed eppure è un territorio più grande dell’Italia.
Scappavano prima verso la Libia fino alla disgraziata nostra legge “Bossi/Fini” che li
ha costretti poi a dirigersi verso il Sinai dove uomini e donne eritrei sono
morti nel raccapricciante traffico di organi, ed ora ancora verso la Libia.
Non voglio commentare qui il motivo che li costringe a
lasciare il paese, ogni Paese è sovrano ed ha il diritto di scegliere come
impostare la propria quotidianità.
La certezza è che quei giovani, quelle donne quando scappano
sanno a cosa vanno incontro, sanno del deserto da attraversare, sanno della
Libia o del Sinai dove ancora si muore, sanno dei mercanti di uomini, sanno dei
rischi del mare. Eppure scappano.
Quanti morti ancora serviranno a farci aprire gli occhi?
Se non possiamo intervenire nel Paese perché sovrano o perché
a differenza di Siria, Libia, Egitto, Tunisia, non si combatte alcuna guerra (ed
allora non c’è da vendere armi), dobbiamo aprire corridoi umanitari per
accogliere questi disperati, queste donne, questi uomini che cercano una vita
LIBERA.
Ieri sera ho chiamato un’amica eritrea, non aveva più
lacrime, non aveva più voce…. così come quelle mamme, quelle moglie, qui padri che non
vedranno più tornare i propri figli.
Cosa possiamo fare?
Parlarne, parlane non solo oggi o quando capiterà la
prossima disgrazia, perché le leggi disgraziate, volute da un governo
disgraziato che ci ha portati in questa vergogna, cambino e si aprano corridoi umanitari
per accogliere chi ha fame e sete di giustizia, chi per un puro caso è stato
meno fortunato di noi ed è nato in un’altra parte del mondo dove la fame e la
sete sono la quotidianità.
Quanti morti ancora serviranno per farci aprire gli occhi,
per toglierci dall’avvitamento su noi stessi a cui ci hanno portato gli ultimi
venti anni di nani e ballerine?
Preghiamo perché il Signore illumini i nostri governanti ed
i governanti di quei paesi da cui la gente fugge, perché lavorino davvero per
il bene del popolo a loro affidato!
E noi? Accogliamo, apriamo le braccia.
Respingiamo le frasi che ci hanno inculcato negli ultimi
anni “non c’è lavoro nemmeno per noi” “vengono
a rubarci il lavoro” “stiano a casa loro”, ed apriamoci alla solidarietà,
all’urlo di questi fratelli e sorelle che continuano a bussare alla nostre
porte. Dove mangiamo in due, si può
mangiare anche in quattro se non in cinque o sei!